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Aziende moderne e lavoratori sorpassati?

 Ci sono punti in comune tra l’azienda che prova a recuperare quote oppure che cerca di espandersi in nuovi mercati e un lavoratore?  Quanto c’è di simile tra un’azienda che deve reinventare il suo operare e un professionista maturo, momentaneamente fuori dal mondo del lavoro?

In un articolo pubblicato su l’Impresa n. 10 dell’ottobre ’15, Alfonso Fuggetta, tra le altre cose Amministratore Delegato di Cefriel, società che si propone di superare i gap tra le aziende e l’università per portare l’innovazione nei prodotti, nei servizi e nei processi, attraverso le tecnologie digitali, descrive come debba muoversi un’azienda in un mondo in veloce cambiamento. Quali sono le mosse che deve compiere un’azienda che non si accontenti di stare a galla, ma anzi voglia provare a nuotare?

E quali le mosse di un lavoratore  “fuori azienda”, un professionista, cioè, maturo dal punto di vista professionale con tutta la volontà di rientrare? Qualche volta sembra che la grande maggioranza delle persone che lavorano o che cercano lavoro non faccia che ripetere tentativi poco efficaci.

La nuova azienda e il lavoratore devono essere frugali, veloci e agili.

Per frugale si intende un’azienda che sappia applicare un processo di riduzione della complessità e del costo di un bene e della sua produzione; utilizzando, per esempio le tecnologie digitali. L’obiettivo è ottimizzare costi e investimenti. In definitiva le tecnologie (non più nuove ormai) digitali sono condizione necessaria e minima. Il lavoratore fuori azienda è in grado di essere frugale cioè semplice ed efficace nel processo di miglioramento delle sue competenze? Attenzione: semplice non va confuso con elementare o facile. Può stare assieme a comprensibile ed utilizzabile.

Velocità:  richiede una serie di cambiamenti organizzativi, culturali e tecnologici efficaci e profondi. L’azienda deve imparare a  prevedere i cambiamenti che il mercato chiede. Il lavoratore fuori azienda deve rapidamente capire quali sono le tendenze, quali sono le richieste del suo mercato di riferimento, costituito da determinate aziende e non da altre e da specifiche opportunità di lavoro: come dipendente che sa fare cose, che è in grado di portare risultati, ma anche come manager a tempo o consulente, per esempio.

Agilità: vuol dire aggiustare il “fare” in tempi rapidi adattando la risposta ai feed back che arrivano dal mercato, dai clienti, dalla concorrenza. Non serve correre a testa bassa: è necessario correre in modo intelligente sapendo cambiare immediatamente direzione non appena se ne ravvede la necessità o l’opportunità. Non semplicemente correre, ma farlo, in maniera ragionata. Il lavoratore fuori azienda si muove proattivamente o non fa altro che offrire le sue vecchie capacità professionali nello stesso modo?

Se l’obiettivo dell’azienda è stare sul mercato, qual è l’obiettivo del lavoratore? Semplicemente rientrare nel posto perduto?

Il mercato del lavoro, anche italiano, è in veloce movimento, la concorrenza particolarmente aggressiva in un periodo di crisi, la tendenza di medio periodo è difficilmente interpretabile, i clienti sempre più sfuggenti e difficili da accontentare, cioè: cosa vogliono le aziende dai lavoratori?

Il mondo è un enorme  VUCA: Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity . Lo abbiamo capito?

Le aziende investono nel capitale umano: cosa deve fare il capitale umano?Migliorare, aumentare, rinnovare le nostre competenze e le nostre motivazioni; siamo risorse di qualità e valiamo forse più di quello che costiamo.

Gli atteggiamenti vincenti sono:

  • cultura dell’ascolto: solo facendo grande attenzione a quello che clienti, utenti, colleghi comunicano, riusciremo a capire quali sono i bisogni e come intervenire per soddisfarli. Vince chi interpreta positivamente i bisogni, specie quelli nemmeno espressi.
  • cultura del rischio: non si può innovare e competere senza rischiare.  Quali saranno le tendenze e quindi le richieste nei prossimi mesi? In quale settore vale la pena investire per aumentare le proprie capacità? Frequentare un corso di formazione può essere particolarmente costoso: vale la pena sviluppare determinate conoscenze o va premiato l’essere pionieri nel proprio campo?
  • tecnologie abilitanti:  la  conoscenza e il concreto utilizzo, sia in fase di ricerca di opportunità che in fase di lavoro vero e proprio, sono condizioni assolutamente necessarie e ineludibili. Maneggiare strumenti come computer, tablet o smartphone non può continuare ad essere delegato ai “millennials” o a chi definiamo genericamente “giovane” o “portato”. Tutti i social network, per esempio, hanno al loro interno strumenti per conoscere se le persone alle quali mandiamo un cv lo leggono o no e quanto tempo gli dedicano;
  • networking: molte delle nostre difficoltà possono essere superate confrontandoci con colleghi che sono dentro o fuori l’azienda, con i quali siamo in grado di mantenere un rapporto di collaborazione continua ed efficace. Non solo conoscere le opportunità di lavoro, ma anche e soprattutto scambio di pratiche, di capacità, di strumenti. Utile per conoscere le tendenze, imparare l’uso delle tecnologie, sperimentare tecniche di colloquio efficace.
  • Business model:  qual è e quale può esser il nostro personale modello di business? E’ ancora valido quello che perseguivamo quando eravamo all’interno dell’azienda? Rientrare in azienda a fare quello che abbiamo ben fatto per dieci o venti anni è un obiettivo credibile, vendibile, o si tratta di reinventare modalità nuove? E quali? Cosa vogliamo essere da grandi? Ci stiamo muovendo bene?

Una non conclusione. Non possiamo puntare semplicemente al ritorno allo status quo, alla mitica età dell’oro. La volatilità si combatte con una “solidità fluida”, valori, atteggiamenti, conoscenze e comportamenti che costituiscano la nostra parte più solida e concreta ma declinata in maniera fluida, in grado cioè di essere adattata ai cambiamenti presenti e, se possibile, anche futuri. Se l’ambiente è incerto, ambiguo e volatile, tu non puoi essere rigido. Se finiste nelle acque gelate e turbinose di un torrente, l’unico modo per aver speranza di sopravvivere non sarebbe fare resistenza, ma provare ad assecondare il moto dell’acqua e muoversi con i flutti.