In anteprima pubblico qui il mio libro, suddiviso in puntate, in uscita tra poche settimane.
PREMESSA
Mi chiamo Stefano Preto. Sono un operatore del Mercato del Lavoro in Veneto. Da tempo collaboro con alcune agenzie ed enti di formazione. In particolare seguo GOL Garanzia Occupabilità Lavoratori. È un progetto nazionale, declinato nelle diverse Regioni. È finanziato dall’Unione europea con il PNRR. Il PNRR è il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che si prefigge di aiutare le persone a trovare lavoro.
Però, prima di tutto, sono un ex disoccupato, proprio come te, che stai leggendo.
Avevo una professione che mi piaceva molto. Mi occupavo di formazione del personale. Ero esperto di contenuti e di gestione dell’aula. Andavo a trasmettere per conto di aziende della Grande Distribuzione, di enti di patronato e per la Scuola e la Sanità.
Ad un certo punto il lavoro ha cominciato a non funzionare più come prima. Quindi per un poco – non poco a dire la verità – sono rimasto senza fare nulla.
Letteralmente.
Poi ho fatto il tabaccaio e il commesso di cartoleria. Due occupazioni che mi hanno dato grandi soddisfazioni nel rapporto con i clienti e nei risultati lavorativi.
Ho fatto anche il badante, per i miei genitori.
Tutto questo è durato alcuni anni.
Ad un certo punto mi sono chiesto se questa situazione mi andasse bene.
E mi sono risposto – anche se di malavoglia – con un “no”. Volevo cambiare, volevo migliorare, volevo stare meglio e ritrovare una mia identità professionale. La mia esperienza, poi, non la volevo “buttare nell’indifferenziato”. Per questo motivo mi sono proposto ad alcune associazioni di volontariato. Ho deciso di fare – gratuitamente – quello che avevo fatto come lavoro anni prima.
Le cose non esistono di per sé; diventano come le chiami. A seconda di come definisco un oggetto, quello stesso oggetto avrà le caratteristiche che io gli attribuisco, mi aspetterò che si comporti in un certo modo e sarò contento quando la risposta corrisponderà alle mie aspettative.
Perché spendere 1000 euro o più per un telefono cellulare?
È la stessa domanda che rischia di essere sbagliata: cosa mi aspetto da questo oggetto che chiamo telefono?
Un moderno smartphone, di livello medio basso, è più vicino a un computer tascabile, con funzionalità strabilianti come fare fotografie o filmati, fare editing, cioè migliorare le stesse foto e filmati, aggiungere o togliere musica, spedirle dove vuoi tu, spesso fare di più e più velocemente di un computer tradizionale; con, ad esempio, la possibilità di navigare per comprare un biglietto del treno o fare pagamenti senza carta di credito, riconoscere brani musicali sentiti per strada, ascoltare brani musicali o guardare film, eccetera eccetera eccetera.
Lo sapevi che i processori che fanno funzionare un medio smartphone attuale hanno capacità di elaborazione dati e velocità superiori a quelle che hanno i computer che equipaggiano la sonda spaziale partita negli anni 70 e arrivata a superare i confini del sistema solare?
Dimenticavo: oltre a tutte queste cose lo smartphone di cui sopra ti permette di fare ANCHE telefonate.
MA se tu lo chiami solo telefono, lo identificherai come un telefono, sia pure portatile, intelligente, migliore di quello che, a casa, spesso è collegato ad un filo. Quindi, effettivamente, che senso ha pagarlo così tanto?
Nessuno.
Lo stesso vale per tante altre cose: tipo un lavoratore o una lavoratrice.
Se dici: perché dovrei assumere un lavoratore anziano, prossimo alla pensione? Così stai identificando un determinato lavoratore/trice come un soggetto, appunto, anziano, vetusto, sorpassato, che andrà in pensione tra poco tempo, che non può reggere il confronto con un lavoratore giovane, pieno di forza ed entusiasmo e voglia di fare e di imparare. I vecchi per definizione non sono pieni di forza, non hanno entusiasmo e non hanno nessuna voglia di imparare. Anche perché sono vicini a quell’età in cui non si lavora più, ma si va ai giardinetti oppure si accudiscono i nipoti. Se è (se fosse!) davvero così chi te lo fa fare ad assumere un lavoratore vecchio che, tra l’altro costa di più?
Provo a cambiare la prospettiva e gli dò un nome diverso, per esempio lo definisco come “lavoratore esperto”, le cose cambiano.
Quel lavoratore, quella lavoratrice, proverò a definirli diversamente.
Magari provo a definirlo come una persona che ha molta esperienza tecnica di una o più attività diverse, lavoratore che ha sperimentato molte e diverse situazioni, clienti diversi, lavori diversi, colleghi diversi e così via. Una persona/lavoratore che, a causa delle esperienze è più pronto ad adattare il suo comportamento alle diverse situazioni, ha sviluppato competenze soft come l’abilità negoziale, ha voglia di condividere la sua competenza con persone più giovani, è più accomodante.
In questo caso la realtà di fronte a te semplicemente cambia.
Lavoratrice esperta e smartphone. Photo by Andrea Piacquadio on Pexels.com
SI dice che sia possibile ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni senza ridurre la retribuzione. In Italia
Occorrerebbe un salto di qualità nella organizzazione del lavoro, ma anche un grande cambiamento di cultura del lavoro.
Ecco i motivi per i quali non si può fare in Italia. Magari nelle grandi aziende per un discorso di marketing.
Non riusciamo a introdurre il lavoro a distanza (perché questo è lo smart working) perché i datori di lavoro hanno paura di non controllare abbastanza i dipendenti. E vogliamo parlare di ridurre le ore lavorate?
Dice: fai un lavoro che ti piace e non lavorerai un solo giorno. Bello slogan, ci credi?
Non farti condizionare, nemmeno un po’, dalla passione o dalle tue attitudini nella ricerca e nella pratica di un lavoro.
Perciò trovati un lavoro che RENDA, cioè ti paghi bene o meglio,
e che DURI, cioè che abbia una durata tale da permetterti di fare famiglia, comprare casa eccetera,
e se il lavoro NON TI PIACE, allora sei sulla strada giusta: è il lavoro per te.
Non credere all’ideologia del CAMBIAMENTO; è una grandissima fregatura per farti andar via spontaneamente da un ambiente di lavoro, mentre quelli veramente furbi non si spostano; anzi, loro fanno carriera e tu sarai sempre un giovane (o anche una giovane, certo, ma per te sarà ancora più difficile) pieno di interessi, ma vuoto di soldi e sicurezze.
Questo dice il Motivatore Demotivato, dopo aver visitato tutti i luoghi del mondo.
Per spiegare cosa intendo per DETERMINAZIONE come soft skill, ti racconto una storia vera. La sto sperimentando nel corso della mia attività come Operatore del Mercato del Lavoro, occupandomi del Progetto GOL, che aiuta le persone disoccupate a cercare e trovare un lavoro. Questa è la storia professionale di una delle persone che ho incontrato.
Maria è una giovane donna che, dopo dieci anni di lavoro come segretaria, vuole cambiare. Ha lavorato in una azienda che si occupa di trasporti e logistica, non troppo grande, ma solida con un mercato locale abbastanza importante, con prospettive di crescita buone.
Maria si occupa di gestire gli autisti, programmare i percorsi, le fermate, i carichi. È apprezzata per il lavoro che fa.
La sua passione oltre il lavoro è fare la pasticcera. Le piace molto fare i dolci, ha frequentato alcuni corsi per imparare e migliorarsi; durante la pandemia, poi, si è trasferita sul web e ha continuato a studiare per perfezionare le sue capacità.
Ad un certo punto la sua passione diventa sempre più forte e la sua voglia di continuare a stare in ufficio diminuisce. Così decide, dopo averne parlato con il suo compagno e con alcuni conoscenti, di prendersi un periodo per pensare a cosa fare.
Chiede di essere licenziata e si mette alla prova.
Entra nel percorso GOL e porta la sua determinazione, ma anche la sua paura: ce la farò?
Il cambiamento non è cosa facile, in Italia, se sei una segretaria farai sempre la segretaria. La tua storia, riassunta dal tuo curriculum, non mente.
Cambiare non è contemplato da noi. Ma lei ci crede, consapevole che il suo non sarà un percorso semplice. Intanto apre un canale su Instagram e pubblica foto e video delle sue torte, dei pasticcini e dei macarons, raccoglie pochi, ma buoni followers.
“Il mio progetto non è di vendere torte on line, anche se qualcuno me lo ha chiesto”.
I macarons di Maria
Infatti i primi due obiettivi di Maria sono farsi conoscere e collaborare con un laboratorio di pasticceria, consapevole che non lo ha mai fatto prima e che stare in pasticceria non è come stare nella cucina di casa.
Come fare? Parte compilando un elenco di tutte le pasticcerie della zona e programma di andare a visitarle, portando le foto di quello che ha fatto, chiedere un appuntamento e proporsi.
“Sono disposta a collaborare anche gratuitamente pur di imparare e farmi conoscere”.
Nel frattempo che fare del suo cv, che parla di un bel diploma di ragioneria, di conoscenza della contabilità, dell’esperienza nella logistica? Non possiamo certo cancellarlo e inventarne uno nuovo!
Dall’agenzia, intanto, arriva una proposta davvero interessante: una azienda ha visto il suo cv: la proposta è di entrare e occuparsi di… logistica!
Sono in crescita, avrebbero davvero bisogno di una figura come la sua, con una buona esperienza di base; a loro piacerebbe fare un percorso anche lungo insieme.
Insomma, ci sono ottime prospettiva di sviluppo professionale per Maria.
La guardo e il suo viso è piuttosto trasparente: bella proposta, ma non voglio tornare da dove sono venuta, voglio provare a cambiare, sono qui per cambiare.
Passa solo qualche ora e arriva una seconda proposta, meno interessante, ma più vicina a quello che sta cercando: un laboratorio artigianale di pasta cerca lavoratrici con una certa manualità per produrre i tortellini tipici della zona.
Questa proposta è certamente più vicina ai suoi obiettivi, anche se non abbastanza.
Torno a guardarla negli occhi e capisco subito: grazie, ma non fa per me.
Si sente un poco in colpa a rifiutare due proposte comunque interessanti. “Un sacco di gente cerca un buon lavoro chi sono io per rifiutare?”
“Ho preparato questo momento e, se non ce la facessi, potrei tornare a fare il lavoro che facevo prima. Mi prendo qualche mese e ci provo”.
Mettiamo a punto un programma, le cose da fare, gli obiettivi da raggiungere, i tempi che prevediamo i KPI del suo progetto per diventare una pasticcera.
Cominciamo.
Questa la chiamo determinazione: la volontà di arrivare a realizzare un progetto, il non farsi deviare e puntare all’obiettivo.
Penso proprio che tra qualche tempo la vedremo dentro un laboratorio di pasticceria felice come una Pasqua, anzi come un uovo di pasqua.
determinazione: la volontà di arrivare a realizzare un progetto, il non farsi deviare e puntare all’obiettivo.
E magari anche un presente ai loro genitori, che non sono proprio giovani.
Si parla del fatto che qualcuno (Governo, Politica, Sindacato, Società) dovrebbe dare un futuro ai giovani.
Bello; specie quando non fai più parte di quel gruppo.
Peccato però che non si riesca nemmeno a dare un presente a chi il lavoro lo cerca, a chi vorrebbe cambiarlo, a chi, infine, il lavoro non lo ha (più) e non riesce a trovarlo.
Ma le opportunità ci sono e sono molte; basta fare un giro per il centro e vedere quanti bar, ristoranti, negozi di qualsivoglia merce cerchino lavoratori. Certo devono essere giovani, molto giovani, ma anche esperti, molto esperti e devono amare QUEL lavoro, dove non ci sono orari, non ci sono riposi, spesso non ci sono nemmeno i soldi per essere pagati.
E gli altri? Quelli che non sono giovani, esperti, disinteressati agli orari e allo stipendio? Beh, venti ore a settimana le trovi.
Post scritto tanto per scrivere qualcosa, così che l’algoritmo algido si accorga che sono ancora vivo.
A che punto siamo con il lavoro in questa Italia che ha superato la crisi della pandemia e che sta ancora vivendo una guerra a pochi chilometri di distanza? Cosa significano questi avvenimenti rispetto al lavoro e alla ricerca di lavoro?
Qualcosa, per dirlo tra virgolette, è cambiato. Il mondo del lavoro e, di conseguenza, la stessa ricerca di lavoro sono completamente cambiati in pochi anni. La tendenza era già cominciata, ma ora è al suo massimo. I criteri tradizionali di ricerca sono cambiati, per i lavoratori, certo, ma anche per i datori di lavoro, che non sempre capiscono e si adeguano al mondo nuovo.
Infatti, qualche anno fa, superare una certa soglia di età voleva dire non aver più niente da apportare all’azienda, e rimanere in sostanziale attesa di pensione. Con l’allungamento dell’età lavorativa – fino a 67 – un cinquantenne ha ancora molto da dare.
In questa intervista che ho rilasciato a Tele Pace spiego perché.
Dopo qualche anno di assenza torno a parlare di lavoro.
Si, certo; la comunicazione è – assieme al lavoro di gruppo – la capacità che ogni offerta di lavoro, degna di questo nome non dimentica di chiedere e che bisogna a tutti i costi avere (come dire: sono cool, sono moderno).Continua a leggere →
Benedetta Rinaldi è la conduttrice di Uno Mattina della RAI, in coppia con Franco di Mare.
O meglio era la conduttrice, perché la RAI non le ha rinnovato il contratto. Cose che càpitano, non c’era nessun obbligo di continuare il rapporto; semplicemente la direzione non ha ritenuto di non andare avanti con lei.
Certo, non è la stessa cosa di un mancato rinnovo del lavoro di un magazziniere o di un’impiegata o di un social manager; diverso anche da uno stage che non vuole diventare un lavoro vero.
O no?
I livelli sono certamente diversi, ma i comportamenti e le reazioni delle persone di fronte alla perdita sono uguali…
Un mancato rinnovo, inaspettato e improvviso, lo stupore, la rabbia e il dispiacere: a quante persone è capitato o capiterà?
Non me l’aspettavo – nessuno mi ha detto nulla – avrei dovuto capirlo – l’ho saputo indirettamente – mi hanno tenuto all’oscuro fino all’ultimo.
La sensazione di essere stati presi in giro, di essere stati usati, che un lavoratore o un altro siano la stessa cosa per l’azienda: le reazioni sono uguali, per una conduttrice famosa e per uno stagista.
Già, perché il lavoro NON è solo uno stipendio.
È la possibilità di progettare la propria vita, è avere la stima di noi stessi e le stima delle persone che ci circondano: familiari, amici, colleghi. Il lavoro è la propria realizzazione, è per questo che le persone si deprimono (ci restano male) quando lo perdono.
La vicenda di Benedetta Rinaldi è una lezione per tutti, perché ci fa capire che abbiamo le stesse reazioni di fronte alla perdita del lavoro.
E quindi?
Tutti abbiamo dentro noi stessi le risorse per superare le difficoltàe trasformarle in opportunità. Dopo un naturale momento di tristezza o rabbia, dobbiamo prendere in mano la situazione e volgerla a nostro favore; lo dobbiamo a noi stessi. Fosse facile! la negatività inizialmente è più forte della positività, il dolore e la disillusione sembrano essere più forti di tutto il resto.
Però, questo è il momento per capire quali siano le nostre competenze, le nostre motivazioni, le cose che ci piace fare. Possiamo decidere se stare tra quelli che non ce la fanno o quelli che riescono a ripartire.
Paradossalmente perdere il lavoro può diventare il motivo per fare il punto su noi stessi, capire chi siamo e cosa vogliamo essere in futuro,ma è anche l’occasione per capire chi sono le persone intorno a noi e come ci possono aiutare.
Analisi e bilancio delle proprie competenze e uso corretto del networking, sono gli strumenti per una ripartenza, per arrivare in un luogo migliore di quello che abbiamo lasciato.
Da solo io non ne sono capace: persone ed Enti mi hanno aiutato e il risultato è arrivato.
Eh sì, sempre le stesse parole. Qualcuno, mentre lavora si fa del male o, peggio, muore, e tutti a ripetere la litania.
In pochi giorni in Lombardia – ma poteva essere ovunque in Italia – alcune persone sono morte mentre stavano lavorando. In un caso erano lavoratori esperti; in un altro si è trattato di un giovane che è morto sotto gli occhi del padre, che lo seguiva. Tutti superficiali? Hanno tutti sbagliato qualcosa? Nessuno ha seguito le norme (che ci sono)?
Perché ogni volta devo/dobbiamo sentire gli stessi commenti da parte di giornalisti, sindacalisti, datori di lavoro, eccetera?
“Si deve investire di più nella sicurezza”,
“La crisi ha abbassato la percezione del pericolo nelle aziende”,
“Non si fa abbastanza per la sicurezza”…
Non è che si fa troppo, ma lo si fa male? Ha senso proclamare una manifestazione di piazza? Mobilitarsi per un giorno? Promuovere un dibattito a caldo? Per cosa? Per sensibilizzare chi?
Risposte non ne ho. Ma ho l’impressione che ci sia qualcosa di sbagliato, qualcosa che non funziona. Ho paura che le cose cambieranno troppo poco e con grande difficoltà. E penso – spero non sia irrispettoso – a un qualsiasi telefilm americano, dove, se il protagonista deve anche solo dipingere una porta di legno, indossa gli occhiali protettivi, i guanti e un grembiule adatto.
Che sia un problema di CULTURA? Forse si intende la formazione alla sicurezza, solo come un elenco descrittivo e noioso delle cose da fare e di quelle da non fare? Formazione alla sicurezza significa dire quali sono i dispositivi adeguati? Qualcuno ha mai misurato il cambiamento di comportamento delle persone DOPO un corso di formazione? La percezione del rischio, pensare intimamente che “tanto a me non può succedere, perché io sono esperto”, qualcuno l’ha mai considerata? Forse, fino a quando la sicurezza sul lavoro sarà considerata un costo per le aziende e un intralcio per i lavoratori, cambiamenti non ne vedremo. E sentiremo gli stessi commenti e le solite prediche.