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NON C’È NIENTE DI BELLO NELL’ESSERE DISOCCUPATI

Tutti i manuali di ricerca lavoro insistono su due o tre elementi: bisogna essere positivi, bisogna crederci e non mollare mai.

Ma come fai ad essere positivo quando perdi il lavoro che per te era importante, che ti assicurava tranquillità economica, che ti dava uno status sociale? Non avresti mai pensato di essere disoccupato, vero?

Vorresti riavere subito il tuo vecchio lavoro o, almeno, uno simile. E invece no. Pensi di avere poco tempo, visto che le scadenze sono diventate più pesanti, i mutui corrono, le rate digrignano i denti. E quando ti dicono di non aver fretta, vorresti urlare la tua rabbia.

Non ti importa di fare corsi, di rivedere il cv, di analizzare le tue competenze. Sono tutte cose che conosci già e che non ti servono. Quello che ti serve è un maledetto lavoro. 

Subito. 

Non puoi permetterti di perdere tempo. E, quando ti sei calmato un poco, cominci a spedire il tuo vecchio cv e provi a parlarne con qualche amico: chissà mai che non ti proponga qualcosa. Ma, con il tempo, vedi che le cose non funzionano come pensavi; da un lato proposte ignobili per il tuo livello, dall’altro nessuno che ti risponda. Così, magari, ti trovi ad aver spedito decine e decine di cv senza avere un riscontro. E capisci di far parte di un nuovo gruppo: quelli che non lavorano, i disoccupati, quelli che hanno bisogno di un sussidio, un aiuto. 

Ma ti dicono che devi essere positivo.

Sono tempi difficili per trovare lavoro; ah! C’è stato un momento in cui era facile? Credo che tutti noi abbiamo sempre sentito dire che siamo in crisi, che è un brutto momento di passaggio, che le cose sono più difficili di un tempo. 

Da quando comincio a capire le cose ho sempre sentito parlare di momenti di crisi e epoca di passaggio. Certo, questo passaggio si è fatto un po’ lungo…

Ho capito una cosa: crisi c’è quando tu hai difficoltà. Ma se provi a vedere il mondo da un punto di vista diverso le difficoltà possono diventare opportunità. Per te. 

Ricordi il periodo COVID? Quanto tempo siamo rimasti chiusi in casa, impossibilitati ad uscire se non per necessità. Passavamo il tempo a… non fare niente. Inizialmente magari era una esperienza diversa, nuova, magari anche divertente per alcuni, ma poi? Poi ci siamo inventati tutte le scuse possibili per uscire: devo fare la spesa, devo fare jogging, devo andare in farmacia, voglio andare al lavoro!

Sei entrato in una categoria di persone che, forse, non ti aspettavi e che non fa certo piacere.

In realtà tu sei già qualcosa di diverso da un disoccupato. Avevi e hai ancora una vita al di fuori del lavoro; degli interessi, delle passioni, persone che ti stimano e che ti vogliono bene. Non hai perso nulla di tutto questo. 

Hai solo perso il lavoro. 

Momentaneamente.

Fare qualcosa per trovare un nuovo lavoro sarà la tua medicina. 

É arrivato il momento di raccogliere le tue forze mentali e darti da fare. Dovrai fare cose, pensare e decidere. 

Quindi taglia quello che non serve, quello che ti fa stare male adesso, per poterti concentrare sulle cose nuove che dovrai fare. 

Se ti dai un obiettivo e trovi gli strumenti per raggiungerlo, riesci a orientare la tua forza mentale e a stare meglio. Oltretutto, alla fine troverai il lavoro che cercavi. 

Per esempio, comincia a pensare a quello che ti piacerebbe fare: vuoi continuare a fare il lavoro di prima, ma in condizioni diverse? Vorresti cambiare completamente settore? Ti piacerebbe riprendere in mano una tua vecchia capacità? 

Usa la tua fantasia e la tua creatività. Potresti pensare che non servano, che non porteranno a risultati concreti subito. 

Ma ti aiutano a trovare nuovi obiettivi. 

Vuoi continuare a fare il lavoro di prima? Allora forse ti sarebbe utile seguire un corso di addestramento o di formazione per imparare cose nuove del tuo vecchio lavoro. 

E non dire che sai già tutto. 

Il mondo del lavoro cambia quasi di minuto in minuto e, forse, finché lavoravi non ti rendevi conto che quello che facevi era già superato: magari è proprio per questo che ti trovi in questa condizione. 

Se vuoi tornare nel tuo precedente ambiente professionale, fallo con nuove competenze e idee, se vuoi cambiare acquisisci altre capacità, che siano maggiormente adatte alla nuova occupazione che hai in mente. 

E poi, dove ti piacerebbe lavorare, davvero? Quella tale azienda ti piacerebbe? 

E poi: quale mansione potresti svolgere là dentro? Quale valore potresti portare? La tua esperienza potrebbe essere interessante? Potresti in qualche modo fare la differenza? 

Spiega! E se ti serve una mano… chiamami. Il mio compito è aiutare le persone che si sentono in difficoltà nella ricerca di lavoro.

Bella sfida, vero?

LAVORATORI ANZIANI E TELEFONI CELLULARI

Le cose non esistono di per sé; diventano come le chiami. A seconda di come definisco un oggetto, quello stesso oggetto avrà le caratteristiche che io gli attribuisco, mi aspetterò che si comporti in un certo modo e sarò contento quando la risposta corrisponderà alle mie aspettative.

Perché spendere 1000 euro o più per un telefono cellulare?

È la stessa domanda che rischia di essere sbagliata: cosa mi aspetto da questo oggetto che chiamo telefono?

Un moderno smartphone, di livello medio basso, è più vicino a un computer tascabile, con funzionalità strabilianti come fare fotografie o filmati, fare editing, cioè migliorare le stesse foto e filmati, aggiungere o togliere musica, spedirle dove vuoi tu, spesso fare di più e più velocemente di un computer tradizionale; con, ad esempio, la possibilità di navigare per comprare un biglietto del treno o fare pagamenti senza carta di credito, riconoscere brani musicali sentiti per strada, ascoltare brani musicali o guardare film, eccetera eccetera eccetera.

Lo sapevi che i processori che fanno funzionare un medio smartphone attuale hanno capacità di elaborazione dati e velocità superiori a quelle che hanno i computer che equipaggiano la sonda spaziale partita negli anni 70 e arrivata a superare i confini del sistema solare?

Dimenticavo: oltre a tutte queste cose lo smartphone di cui sopra ti permette di fare ANCHE telefonate. 

MA se tu lo chiami solo telefono, lo identificherai come un telefono, sia pure portatile, intelligente, migliore di quello che, a casa, spesso è collegato ad un filo. Quindi, effettivamente, che senso ha pagarlo così tanto?

Nessuno.

Lo stesso vale per tante altre cose: tipo un lavoratore o una lavoratrice. 

Se dici: perché dovrei assumere un lavoratore anziano, prossimo alla pensione? Così stai identificando un determinato lavoratore/trice come un soggetto, appunto, anziano, vetusto, sorpassato, che andrà in pensione tra poco tempo, che non può reggere il confronto con un lavoratore giovane, pieno di forza ed entusiasmo e voglia di fare e di imparare. I vecchi per definizione non sono pieni di forza, non hanno entusiasmo e non hanno nessuna voglia di imparare. Anche perché sono vicini a quell’età in cui non si lavora più, ma si va ai giardinetti oppure si accudiscono i nipoti. Se è (se fosse!) davvero così chi te lo fa fare ad assumere un lavoratore vecchio che, tra l’altro costa di più?

Provo a cambiare la prospettiva e gli dò un nome diverso, per esempio lo definisco come “lavoratore esperto”, le cose cambiano.

Quel lavoratore, quella lavoratrice, proverò a definirli diversamente.

Magari provo a definirlo come una persona che ha molta esperienza tecnica di una o più attività diverse, lavoratore che ha sperimentato molte e diverse situazioni, clienti diversi, lavori diversi, colleghi diversi e così via. Una persona/lavoratore che, a causa delle esperienze è più pronto ad adattare il suo comportamento alle diverse situazioni, ha sviluppato competenze soft come l’abilità negoziale, ha voglia di condividere la sua competenza con persone più giovani, è più accomodante.

In questo caso la realtà di fronte a te semplicemente cambia.

signora matura guarda uno smartphone con una giovane
Lavoratrice esperta e smartphone. Photo by Andrea Piacquadio on Pexels.com

DUE O TRE COSE SUL LAVORO

SCRIVO alcune cose che potrebbero essere utili per conoscermi un po’. A dire il vero si capisce che si tratta di cose di qualche mese fa: il Reddito di Cittadinanza è morto anche se non ancora sepolto, ma ha davvero poco da dire, piaccia o non piaccia. Per il resto le cose sono rimaste come erano; aggiungerei solo che, in questi mesi, ho visto che tra i più strenui nemici del RdC ci sono proprio le persone che avevano un RdC.

Che strano, vero? Lo è anche per me, ma hanno votato un governo che aveva detto che avrebbe eliminato il RdC, queste persone sono d’accordo perché “non se ne può più di vedere giovani che stanno sul divano a prendere soldi”.

Trovano solo strano il fatto che lo abbiano tolto anche a loro.

Comunque: mi sono occupato di formazione del personale per gran parte della mia vita professionale e vorrei continuare a farlo; per me la formazione serve o serviva a far capire alle persone dove stanno, cosa stanno facendo, perché lo stanno facendo. In poche parole serve a far capire il senso delle cose che si fanno; specie al lavoro. 

Tutto il resto, assolutamente rispettabile, è insegnare, istruire, spiegare cosa si deve fare. Nella mia vita mi sono occupato anche di questo, anche se mi interessava meno, perché sono un libero professionista o free lance e, quando capita, si fanno anche cose che piacciono meno. 

Ho lavorato con piacere e divertimento in tutta Italia, una volta anche all’estero: San Marino!, quindi posso dire di essere internazionale.

Da alcuni anni mi interesso e lavoro nel campo del supporto alle persone che cercano lavoro. Qui ho incontrato e incontro situazioni davvero interessanti e particolari. Posso dire che le cose non sono quasi mai come le si legge sui giornali o si vedono nei tiggì. 

Le persone, di solito, hanno il piacere di lavorare, ma vogliono essere pagate, e pagate bene. 

Poi vogliono essere prese in considerazione, ascoltate, valorizzate per il poco o tanto che sanno fare. Quindi la barzelletta dei giovanichepreferisconostaresuldivano piuttosto che lavorare, oltre a non far ridere non è vera. Si tratta di persone che non sono poi così giovani, vorrebbero lavorare, ma nessuno li assume: o perché sono troppo vecchi, o perché devono imparare o perché devono occuparsi di figli, mariti, mogli, genitori che diversamente non avrebbero nessuno. Quindi sono disponibili, ma ad orari che non si conciliano con le richieste delle aziende. 

Ah le aziende! A veder le offerte che pubblicano si direbbe che non sanno esattamente cosa stanno cercando: di solito un giovane, con anni di esperienza, che sappia già cosa fare in quel contesto e che si accontenti di uno stipendio da stagista, meglio se in nero.

Poi vogliono che abiti dentro la stessa azienda, dovesse mai capitare che arrivino in ritardo o debbano tornare a casa loro. 

C’è una speranza alla fine? Si.

Più che una speranza è una certezza: se sei determinato il tuo lavoro lo trovi. 

Se hai una professionalità sei ancora più fortunato: qualcuno che apprezza quello che sai fare lo troverai. 

Ma la caratteristica davvero vincente è quella che ho detto: determinazione. Che fa rima con rompiscatole, che non molla mai, che cerca continuamente e che non si fa troppo demotivare dai NO che riceve. 

Infine ho capito che se le persone, tutte, non cambiano la vecchia mentalità per qualcosa di nuovo, se si continua a pensare che studiare sia tempo perso e che “si è sempre fatto così, perché cambiare?”, non si andrà da nessuna parte, anzi si va verso la parte dei perdenti; quelli che la Storia schiva e pensando che qualcuno ce l’aveva con noi o che siamo stati sfortunati. 

CERCARE LAVORO E’ RACCONTARE UNA STORIA


Cercare lavoro è raccontare una storia; la propria storia che ognuno di noi identifica raccontandola dentro di sé, nel momento in cui cerca di capire chi è, cosa vuole, quanto intende investire per arrivare al risultato. 

Quanto siamo capaci di raccontare una storia coinvolgente, che valga la pena di essere ascoltata, che sia significativa e vera?

Nella ricerca del lavoro è importante comunicare chi siamo, far capire cosa sappiamo fare, illustrare quale esperienza abbiamo acquisito, evidenziare come potremmo aiutare il datore di lavoro a risolvere i suoi problemi. E’ questo che davvero facciamo? 

Cercare lavoro è difficile, noioso, frustrante. 

Così, spesso, ci accontentiamo di dire che siamo genericamente capaci, normalmente laureati, banalmente leader o semplicemente comunicativi.

Ma come raccontare la nostra storia attraverso lo schema di un curriculum? Cosa legge il mio interlocutore, cosa percepisce da quello che affermo? Io sono quel che trasmetto? 

Quanto il mio lettore si fida e si ritrova in quello che dico?

Spesso, i cv sono un elenco di scuole frequentate, di ruoli ricoperti, di aziende visitate. Croci infinite su campo bianco.

Definirsi significa avere una precisa immagine di sé ed essere in grado di trasmetterla agli altri.

La comunicazione è un elemento costitutivo della persona; infatti il modo e il senso della comunicazione definiscono la persona, non sono “qualcos’altro”.

Per il lavoratore la comunicazione contribuisce a definire sé stesso; capace, perché sa raccontarsi, sa sviluppare e governare le reti di relazioni attorno sé. 

Farsi ri-conoscere, far conoscere le proprie capacità e risorse, la propria integrità e coerenza di persona e di lavoratore e le proprie capacità: questo è il primo passo di una efficace ricerca di lavoro.

E quanto sei capace di raccontarti ai tuoi interlocutori?

Ti ricordi quando a scuola pensavi di conoscere la materia, ma poi, quando si trattava di argomentarla non ne eri capace? L’impressione di aver compreso un argomento, ma di non essere in grado di spiegarlo, non è essa stessa incomprensione? Se non riesco a spiegarlo significa che non ho capito.

Non aver ben compreso sé stessi significa, sostanzialmente, non essere in grado di raccontarsi e di motivare gli altri a prenderci in considerazione.

Cercare un lavoro significa identificare la storia che abbiamo dentro noi stessi, dotarla di un senso, cercare un pubblico interessato ad ascoltarla, a considerarla e apprezzarla per il suo valore.

Raccontare una storia significa aver qualcosa da dire e saper coinvolgere emotivamente, cioè interessare l’altro che vorrà approfondire.

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Ogni volta che succede un incidente sul lavoro

Eh sì, sempre le stesse parole. Qualcuno, mentre lavora si fa del male o, peggio, muore, e tutti a ripetere la litania.

In pochi giorni in Lombardia – ma poteva essere ovunque in Italia – alcune persone sono morte mentre stavano lavorando. In un caso erano lavoratori esperti; in un altro si è trattato di un giovane che è morto sotto gli occhi del padre, che lo seguiva. Tutti superficiali? Hanno tutti sbagliato qualcosa? Nessuno ha seguito le norme (che ci sono)?

Perché ogni volta devo/dobbiamo sentire gli stessi commenti da parte di giornalisti, sindacalisti, datori di lavoro, eccetera?

  • “Si deve investire di più nella sicurezza”,
  • “La crisi ha abbassato la percezione del pericolo nelle aziende”,
  • “Non si fa abbastanza per la sicurezza”…

Non è che si fa troppo, ma lo si fa male? Ha senso proclamare una manifestazione di piazza? Mobilitarsi per un giorno? Promuovere un dibattito a caldo? Per cosa? Per sensibilizzare chi?

Risposte non ne ho. Ma ho l’impressione che ci sia qualcosa di sbagliato, qualcosa che non funziona. Ho paura che le cose cambieranno troppo poco e con grande difficoltà. E penso – spero non sia irrispettoso – a un qualsiasi telefilm americano, dove, se il protagonista deve anche solo dipingere una porta di legno, indossa gli occhiali protettivi, i guanti e un grembiule adatto.

Che sia un problema di CULTURA? Forse si intende la formazione alla sicurezza, solo come un elenco descrittivo e noioso delle cose da fare e di quelle da non fare? Formazione alla sicurezza significa dire quali sono i dispositivi adeguati? Qualcuno ha mai misurato il cambiamento di comportamento delle persone DOPO un corso di formazione? La percezione del rischio, pensare intimamente che “tanto a me non può succedere, perché io sono esperto”, qualcuno l’ha mai considerata? Forse, fino a quando la sicurezza sul lavoro sarà considerata un costo per le aziende e un intralcio per i lavoratori, cambiamenti non ne vedremo. E sentiremo gli stessi commenti e le solite prediche.

La resilienza e la ricerca di lavoro

images-2Resilienza è una parola che indica un concetto abbastanza “di moda” in questo periodo. Confesso che, le prime volte che lo sentivo, non sapevo bene cosa significasse, così mi sono preso la briga di approfondire un poco. Nulla di nuovo; chissà quanti non conoscevano bene la parola, pur avendone sperimentato, inconsapevolmente, il significato.

Il concetto è ripreso dalla metallurgia, dove resilienza per un metallo è la capacità di resistere alle forze che vi sono applicate, senza perdere le caratteristiche originarie. Dal contesto originario, il termine si è trasferito alla psicologia, arricchendo il suo significato: quindi nelle persone, la resilienza è la “capacità di resistere e di reagire di fronte alle ineluttabili difficoltà e ad eventi negativi”. Concetto che si adatta, e molto, ai nostri tempi e agli argomenti che qui trattiamo. Si tratta della nostra capacità di resistere e anzi di adattarci al meglio alle situazioni lavorative o di ricerca di lavoro, che sono, appunto, difficili. Quanto siamo capaci di adattare il nostro comportamento in un ambiente lavorativo in cui non ci sentiamo valorizzati? Quanto siamo in grado di resistere alla pressione e agire per cambiare, quando siamo nella situazione di  aver perso il nostro lavoro? La persona resiliente, in questo caso, è chi accetta la situazione, cerca di studiare il miglior comportamento possibile e si dà da fare per trovare un’altra occupazione: possibilmente migliore della precedente.images-3

Un mio conoscente mi raccontava che gli capitava, di quando in quando, di perdere o di rompere un oggetto e di doverlo, perciò sostituire con un altro. Nel suo caso, potendoselo permettere, preferiva sempre acquistarne uno simile ma migliore del precedente: se si rimpiazza qualcosa, si fa il possibile per migliorarlo.

Scopo certamente non facile, visti i tempi, ma la persona resiliente non si fa fuorviare e mantiene la barra dritta, cercando in tutti i modi di perseguire l’obiettivo, pur difficile e impegnativo, mantenendo forte la sua motivazione e determinazione verso il raggiungimento. Comportamento non sempre facile da praticare, ma che, attraverso l’aiuto di persone che hanno le stesse difficoltà, diventa più realistico.

la persona resiliente, nonostante la sua naturale vulnerabilità e fragilità, si adatta e trasforma eventi negativi e pericolosi in opportunità per crescere e progredire, non nonostante ma talvolta proprio dalle difficoltà che segnano la vita”. (Nello scrivere questo post mi sono fatto aiutare dalla lettura che ho fatto di N. Galantino: Resilienza, su La Domenica del Sole 24 ore)

Sei una persona di successo?

Avere successo è raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissi, come migliorare il nostro lavoro o trovare un buon lavoro dopo che lo abbiamo perduto.

Ma cosa ti rende davvero una “persona di successo”?

Puoi fare qualcosa per diventarlo?

C’è un comportamento da mettere in pratica o tutto dipende dal caso?

C’è modo di capire cosa fanno le persone che arrivano ad avere successo e quelle che, invece, alla propria affermazione non arriveranno mai?

L’infografica che segue, scherzosamente mette in fila i disparati comportamenti che portano a conseguenze diverse…

(MALEDIZIONE E’ IN INGLESE! TROPPO DIFFICILE PER ME! IO LASCIO PERDERE…)

Tanto per cominciare:

  • Le persone che non hanno successo hanno paura del cambiamento e sperano sempre, in segreto, che gli altri… falliscano.
  • Invece le persone di successo trasmettono il proprio piacere nel fare le cose che fanno e pensano a lungo termine.

Insomma, il mondo si divide in due parti; scegli da quale stare e quale comportamento ti darà… la felicità!

UNSUCCESSFUL

  • Temere il cambiamento.                                  habitsofsuccessfulpeople
  • Agire prima; pensare poi.
  • Mollare facilmente.
  • Perdere tempo.
  • Pensare di sapere già tutto.
  • Parlare più che ascoltare.
  • Criticare sempre.
  • Non darsi obiettivi concreti.
  • Lasciarsi distrarre continuamente.
  • Cercare di abbassare gli altri al proprio livello.
  • Offendere.
  • Sperare segretamente che gli altri falliscano.
  • Prendere sempre la strada meno faticosa.
  • Non sapere esattamente chi e cosa si vuole essere.
  • Pensare, dire e fare cose negative.
  • Smettere di imparare.
  • Sempre arrabbiati con gli altri.
  • Tenere il broncio.
  • Pensare di avere sempre ragione.

SUCCESSFUL

  • Tracciare i progressi.
  • Apprendere dagli errori.
  • Passare tempo con le persone che fanno stare bene.
  • Mantenere un adeguato bilanciamento tra vita e lavoro.
  • Scrivere i propri obiettivi.
  • Complimentarsi con gli altri.
  • Avere una o più liste di cose da fare.
  • Avere ben chiara la propria mission.
  • Essere contenti che gli altri abbiano successo.
  • Accettare le responsabilità dei fallimenti.
  • Avere un desiderio bruciante.
  • Lavorare con passione e con responsabilità.
  • Imparare, migliorare, leggere ogni giorno.
  • Prendersi rischi.
  • Maneggiare bene i problemi.
  • Essere umili.
  • Scambiare informazioni.
  • Trasmettere gioia.
  • Perdonare gli altri.
  • Parlare delle belle idee.
  • Abbracciare il cambiamento.

Ebbene sì: lo ammetto, sono molto bravo, ma l’idea del post me l’ha data Laurence Hebberd, che è Community Manager di Link Humans in London. Scrive anche  su Twitter- @LinkHumans. Lo ringrazio.

HAI PAURA DEL COLLOQUIO DI LAVORO?

Da un suggerimento Alyse Kalish su @dailymuse

La notte prima del colloquio di lavoro è come la famosa notte prima degli esami: quali sono le cose che ci fanno più paura?

Il colloquio è una fase importante nella nostra ricerca di lavoro: è il momento in cui abbiamo le maggiori possibilità di farci conoscere e di conoscere l’azienda e la posizione che potremmo ricoprire. Non è facile conquistarsi un colloquio.

Per questo molti di noi sono preoccupati di usare la frase sbagliata, pensando che basti una sola espressione a rovinare tutto. Altri, invece, hanno paura di non riuscire a dire quella cosa che li descriverebbe nel modo giusto. Ancora, qualcun altro teme di dimenticare tutto non appena si siederà di fronte all’interlocutore.

Comunque: alzi la mano chi non ha paura del colloquio di lavoro!

Certamente è sbagliato affrontare un momento della propria ricerca o del proprio miglioramento professionale come se fosse un esame di scuola, ma, spesso, ci sentiamo così; tanto vale, accettare di aver fifa e prepararci di conseguenza.

Quali sono le paure delle persone che si presentano al colloquio? Come si possono affrontare? Come superarle?

The Muse, sito specializzato in tips and tricks per cercatori di lavoro, ha portato a termine un piccolo sondaggio – certo senza un vero valore statistico – che ci dà un’idea di quali possano essere le paure più grandi che avvertono le persone che si apprestano a fare un colloquio lavorativo. Magari ci sono anche le nostre? @dailymuse. Real talk: Le interviste di lavoro possono essere snervanti. Quali sono le vostre più grandi paure? 4:25 PM – 19 Oct 2016

36% Trovare rapidamente le risposte giuste.

5% Vestire in modo adeguato.

52% Non sapere cosa dire.

7% Dimenticare cose importanti.

Al sondaggio via Twitter hanno risposto in 157 persone. La maggior parte di queste, manifesta il timore di non sapere cosa dire: capita con le DOMANDE KILLER, quando, per esempio, l’intervistatore chiede: Mi parli un po’ di lei…

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AAAAARRRRGGGGHHHHHH

L’importante è farsi trovare pronti.

Prenditi il tempo di pensare quando senti una domanda killer. Lo sai cosa dire, probabilmente devi solo riordinare le idee; oppure hai paura di dire cose poco importanti o che ti mettono in cattiva luce.

Perciò se c’è una domanda alla quale non sai come rispondere, prenditi il tempo per pensarci. All’inizio i selezionatori non si aspettano le “risposte giuste”, vogliono solo capire come ti atteggi.

Infine, fai un respiro profondo e vai tranquillo. Il colloquio è solo un piccolo passo nella tua grande ricerca di un lavoro e non devi arrivarci impreparato.

Essere nervoso è normale. Qual è il miglior trucco per cavarsela al meglio? Essere sempre preparati, così non dovrai preoccuparti della risposta giusta

E qual è la risposta giusta? Partiamo prima dalle domande!

Ecco le 30 DOMANDE KILLER più comuni in una intervista di lavoro

  1. Mi dica qualcosa di sé.
  2. Che cosa sa della posizione?
  3. Che cosa sa di quest’azienda?
  4. Perché vuole questo lavoro?
  5. Perché dovremmo assumerla?
  6. Quali sono i suoi punti di forza professionali?
  7. Quali sono i suoi punti deboli?
  8. Qual è il suo obiettivo professionale più grande?
  9. Mi dica qual è stato la sua più grande sfida o il conflitto con il quale si è confrontato e come l’ha risolto.
  10. Dove si vede tra cinque anni?
  11. Qual è il suo sogno professionale?
  12. Sta facendo colloqui con altre aziende?
  13. Perché lascia il suo lavoro attuale?
  14. Perché è stato licenziato?
  15. Che cosa cerca in una nuova posizione?
  16. Che tipo di ambiente professionale preferisce?
  17. Qual è il suo stile di management?
  18. Quando ha esercitato la sua leadership?
  19. Come si è comportato quando non si è trovato d’accordo con una decisione presa dal suo capo?
  20. Come vorrebbe essere descritto dal suo superiore e dai suoi colleghi?
  21. Perché c’è un buco nella sua storia lavorativa?
  22. Mi spiega perché ha cambiato i suoi percorsi di carriera?
  23. Come affronta la pressione o le situazioni stressanti?
  24. Come vorrebbe che fossero i suoi primi 30, 60, 90 giorni nel nuovo ruolo?
  25. Quali sono i suoi interessi extra lavorativi?
  26. Se lei fosse un animale, quale vorrebbe essere?
  27. Quante palle da tennis potrebbero stare in una limousine?
  28. Ha pensato di avere figli?
  29. Pensa che quest’azienda potrebbe fare meglio o diversamente le cose che fa?
  30. Ha qualche domanda che vorrebbe fare?

Immagine tratta dal blog di Arduino Mancini tibimail

Immagine tratta dal blog di Arduino Mancini tibimail

Il vero consiglio è di prevedere le domande e prepararsi le risposte giuste; così da non rimanere troppo sorpresi e riuscire a cavarsela al meglio. Un colloquio è un momento importante della ricerca di un nuovo lavoro.

Colloqui? Nella tua ricerca ce ne saranno molti: un buon allenamento ci permetterà di vincere la gara.

Mamma ho perso il lavoro! Embè? Atto secondo

ORMAI E’ FATTA! SEI… FUORI.

coverPaola Pesatori, è vice presidente di Unbreakfast: “E’ importante superare bene il momento della perdita del lavoro, ma lo è altrettanto darsi da fare per trovare utili informazioni su come ripartire verso una migliore conoscenza di se stessi”. Obiettivo: ritrovare il miglior lavoro possibile.

 

  • E ADESSO?  ESCI NEL MODO MIGLIORE!

Dare un calcio nelle palle al tuo (ex) capo? Bruciare la scrivania? Non è il caso: un attimo di piacere e molti mesi per pentirsene. Piuttosto, studia le mosse da fare.

  • Preparati psicologicamente.
  • Elabora una strategia per negoziare al meglio: i soldi e il tempo che ti sono dati prima di uscire.
  • Non firmare nulla subito.
  • Valuta se rivolgerti a un avvocato.
  • Fatti pagare il TFR con la tassazione agevolata.
  • Chiedi di essere aiutato con un percorso di outplacement.
  • Conserva l’autostima.
  • Non farti prendere da vergogna e sensi di colpa: serve a niente.
  • Devi reagire, datti una mossa!
  • Trova il modo per dirlo in famiglia.
  • HO DAVVERO PERSO IL LAVORO

Ebbene sì! Puoi evitare di mettere tutti i giorni la giacca o il tailleur di ordinanza. Se non altro stai comodo. E ragiona.

  • Non sei il solo/ la sola: purtroppo questi sono anni così. Ma tu hai moglie/marito/figli/genitori/amici che ti saranno davvero vicini, ti renderai conto di quanto sono importanti per te.
  • Hai un network personale: stila un elenco di tutte le persone che conosci, ma non chiedere loro un lavoro; metteresti te stesso/a e loro in imbarazzo. Invece, fatti dare referenze o suggerimenti veramente utili.
  • Cerca corsi di formazione, eventi, convegni vicini ai tuoi interessi: molti sono gratis e di qualità.
  • Il settore Pubblico aiuta: le Provincie hanno la titolarità sul lavoro, ma cerca anche in Regione o in Comune, per informazioni su liste, formazione, percorsi utili.
  • MI RIMETTO IN GIOCO

Organizzati per tornare in pista alla grande

  • A testa alta: un nuovo inizio è importante. Non stare fermo.
  • Tu sei una grande risorsa, non sei un/una disoccupato: fai volontariato, aiuta qualcuno!
  • Rimettersi in gioco e cercare il lavoro è… un lavoro duro!
  • Valuta le tue competenze: quanto sei bravo/a a fare le cose?
  • I professionisti del cambiamento: coach e counselor, seleziona quelli utili e… usali!
  • Formazione: quali sono le competenze e le informazioni che ti mancano?
  • Outplacement: la tua (ex) azienda (#sempresialodata) lo prevede? Potrebbe essere gratis.
  • Il curriculum: da quanto tempo non lo rinnovi?
  • Il colloquio: più ne fai e più diventi esperto. Bisogna conquistarlo!
  • Le società di selezione: per loro sei un valore. Cerca quelle giuste.
  • La risorsa del social network: ti dico solo una cosa LINKEDIN. Se non ci sei non esisti.
  • Unbreakfast: è una grande associazione, veramente etica, non profit e professionale. I suoi membri sono animati dal sincero desiderio di condividere, partecipare, aggiornarsi, pensare positivo e rimettersi in gioco. Ottima per fare rete e scambiare informazioni. Un unico neo: è a Milano.
  • Darsi i tempi giusti: non credo che dopo aver letto questo post troverai il lavoro. Se non fosse così… fammi sapere!
  • I sogni nel cassetto: sembrerà strano, ma è proprio questo il momento di pensarci. Chissà che un tuo vecchio sogno rimandato, non possa essere messo in pratica e diventare una nuova attività.

Da un evento traumatico può scatenarsi la giusta energia che ti permette di cambiare in meglio la tua vita. Provarci con metodo è un obbligo!

bigbangesplosionelavoro

il Big Bang della perdita con le fasi che si vivono e l’approdo possibile PRIMA di trovare la tua strada.

 

 

 

Aziende moderne e lavoratori sorpassati?

 Ci sono punti in comune tra l’azienda che prova a recuperare quote oppure che cerca di espandersi in nuovi mercati e un lavoratore?  Quanto c’è di simile tra un’azienda che deve reinventare il suo operare e un professionista maturo, momentaneamente fuori dal mondo del lavoro?

In un articolo pubblicato su l’Impresa n. 10 dell’ottobre ’15, Alfonso Fuggetta, tra le altre cose Amministratore Delegato di Cefriel, società che si propone di superare i gap tra le aziende e l’università per portare l’innovazione nei prodotti, nei servizi e nei processi, attraverso le tecnologie digitali, descrive come debba muoversi un’azienda in un mondo in veloce cambiamento. Quali sono le mosse che deve compiere un’azienda che non si accontenti di stare a galla, ma anzi voglia provare a nuotare?

E quali le mosse di un lavoratore  “fuori azienda”, un professionista, cioè, maturo dal punto di vista professionale con tutta la volontà di rientrare? Qualche volta sembra che la grande maggioranza delle persone che lavorano o che cercano lavoro non faccia che ripetere tentativi poco efficaci.

La nuova azienda e il lavoratore devono essere frugali, veloci e agili.

Per frugale si intende un’azienda che sappia applicare un processo di riduzione della complessità e del costo di un bene e della sua produzione; utilizzando, per esempio le tecnologie digitali. L’obiettivo è ottimizzare costi e investimenti. In definitiva le tecnologie (non più nuove ormai) digitali sono condizione necessaria e minima. Il lavoratore fuori azienda è in grado di essere frugale cioè semplice ed efficace nel processo di miglioramento delle sue competenze? Attenzione: semplice non va confuso con elementare o facile. Può stare assieme a comprensibile ed utilizzabile.

Velocità:  richiede una serie di cambiamenti organizzativi, culturali e tecnologici efficaci e profondi. L’azienda deve imparare a  prevedere i cambiamenti che il mercato chiede. Il lavoratore fuori azienda deve rapidamente capire quali sono le tendenze, quali sono le richieste del suo mercato di riferimento, costituito da determinate aziende e non da altre e da specifiche opportunità di lavoro: come dipendente che sa fare cose, che è in grado di portare risultati, ma anche come manager a tempo o consulente, per esempio.

Agilità: vuol dire aggiustare il “fare” in tempi rapidi adattando la risposta ai feed back che arrivano dal mercato, dai clienti, dalla concorrenza. Non serve correre a testa bassa: è necessario correre in modo intelligente sapendo cambiare immediatamente direzione non appena se ne ravvede la necessità o l’opportunità. Non semplicemente correre, ma farlo, in maniera ragionata. Il lavoratore fuori azienda si muove proattivamente o non fa altro che offrire le sue vecchie capacità professionali nello stesso modo?

Se l’obiettivo dell’azienda è stare sul mercato, qual è l’obiettivo del lavoratore? Semplicemente rientrare nel posto perduto?

Il mercato del lavoro, anche italiano, è in veloce movimento, la concorrenza particolarmente aggressiva in un periodo di crisi, la tendenza di medio periodo è difficilmente interpretabile, i clienti sempre più sfuggenti e difficili da accontentare, cioè: cosa vogliono le aziende dai lavoratori?

Il mondo è un enorme  VUCA: Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity . Lo abbiamo capito?

Le aziende investono nel capitale umano: cosa deve fare il capitale umano?Migliorare, aumentare, rinnovare le nostre competenze e le nostre motivazioni; siamo risorse di qualità e valiamo forse più di quello che costiamo.

Gli atteggiamenti vincenti sono:

  • cultura dell’ascolto: solo facendo grande attenzione a quello che clienti, utenti, colleghi comunicano, riusciremo a capire quali sono i bisogni e come intervenire per soddisfarli. Vince chi interpreta positivamente i bisogni, specie quelli nemmeno espressi.
  • cultura del rischio: non si può innovare e competere senza rischiare.  Quali saranno le tendenze e quindi le richieste nei prossimi mesi? In quale settore vale la pena investire per aumentare le proprie capacità? Frequentare un corso di formazione può essere particolarmente costoso: vale la pena sviluppare determinate conoscenze o va premiato l’essere pionieri nel proprio campo?
  • tecnologie abilitanti:  la  conoscenza e il concreto utilizzo, sia in fase di ricerca di opportunità che in fase di lavoro vero e proprio, sono condizioni assolutamente necessarie e ineludibili. Maneggiare strumenti come computer, tablet o smartphone non può continuare ad essere delegato ai “millennials” o a chi definiamo genericamente “giovane” o “portato”. Tutti i social network, per esempio, hanno al loro interno strumenti per conoscere se le persone alle quali mandiamo un cv lo leggono o no e quanto tempo gli dedicano;
  • networking: molte delle nostre difficoltà possono essere superate confrontandoci con colleghi che sono dentro o fuori l’azienda, con i quali siamo in grado di mantenere un rapporto di collaborazione continua ed efficace. Non solo conoscere le opportunità di lavoro, ma anche e soprattutto scambio di pratiche, di capacità, di strumenti. Utile per conoscere le tendenze, imparare l’uso delle tecnologie, sperimentare tecniche di colloquio efficace.
  • Business model:  qual è e quale può esser il nostro personale modello di business? E’ ancora valido quello che perseguivamo quando eravamo all’interno dell’azienda? Rientrare in azienda a fare quello che abbiamo ben fatto per dieci o venti anni è un obiettivo credibile, vendibile, o si tratta di reinventare modalità nuove? E quali? Cosa vogliamo essere da grandi? Ci stiamo muovendo bene?

Una non conclusione. Non possiamo puntare semplicemente al ritorno allo status quo, alla mitica età dell’oro. La volatilità si combatte con una “solidità fluida”, valori, atteggiamenti, conoscenze e comportamenti che costituiscano la nostra parte più solida e concreta ma declinata in maniera fluida, in grado cioè di essere adattata ai cambiamenti presenti e, se possibile, anche futuri. Se l’ambiente è incerto, ambiguo e volatile, tu non puoi essere rigido. Se finiste nelle acque gelate e turbinose di un torrente, l’unico modo per aver speranza di sopravvivere non sarebbe fare resistenza, ma provare ad assecondare il moto dell’acqua e muoversi con i flutti.